Riflessioni per una serata a teatro, in carcere.

“Fare” teatro e non soltanto vederlo: è una modalità formidabile di comunicazione. E’ una ricchezza espressiva.

Suona strano, a dirlo, andare a teatro in carcere. A farlo richiede fatica: iscrizione un mese prima, con invio di documenti, arrivo alle Vallette - non proprio il centro di Torino - alle 20.00, controlli e procedure per l’ingresso rigorosamente senza smartphone, corridoi da percorrere e cancelli - quella sera straordinariamente aperti - da superare per conquistare il proprio posto. 

Eppure quell’insolito invito a teatro, che sceglie, per trasmettere un’idea, una forma di rappresentazione "potente", è l'occasione per un'esperienza di cittadinanza. «Il teatro infatti, a differenza delle altre arti, essendo un atto prima che un prodotto, non esiste fino a quando un pubblico non vi partecipa. E smette di esistere subito dopo». Lo spiega Claudio Montagna regista dell'evento teatrale e ancora: «Ogni forma di rappresentazione comunica, insegna, convince, apre la mente e “fa vedere”. In particolar modo nel teatro, grazie al fatto che la rappresentazione è attuata da qualcuno “presente” per una collettività “presente”. Per l’artista del teatro è impossibile realizzare prodotti finiti: i suoi prodotti sono incompleti fuorché nel momento in cui un pubblico vi assiste».E il teatro diventa veicolo di relazione.

METÀ - Meditazioni sul Cantico dei Cantici, frutto dei laboratori in carcere con detenute e detenuti e all'Università con i giovani studenti di Giurisprudenza, vuole “fa vedere” ciò che altrimenti è difficilmente visibile: il valore degli affetti raccontati da chi ha troppo tempo per pensarli e pochissimo per viverli, a chi, per una sera, è lì in ascolto, disponibile a un dialogo.
Frammenti di storie e stati d’animo, raccontati attraverso la mediazione poetica del testo biblico “Cantico dei Cantici” propongono un viaggio nei sentimenti di donne e uomini detenuti, sentimenti a metà, come sottolinea il titolo, che passando per la “solitudine della reclusione”,  rischiano di restituire alla società persone “dimezzate”.
E una serata a teatro, in carcere, diventa l'opportunità per vivere nuovi punti di osservazione sui reclusi e riflettere, più in generale, sulla funzione riabilitativa della pena.

SCHEDA e PRENOTAZIONI (entro il 7 APRILE 2017)